Cristiani non si nasce ma si diventa

“Cristiani non si nasce ma si diventa”. Quest’affermazione di Tertulliano, uno scrittore cristiano morto nel 220 circa, è lo sfondo del nuovo percorso di iniziazione cristiana.
Proprio perché la fede non è più scontata e il contesto sociale e familiare non è più cristiano “per definizione”, si rende necessario un cammino di “iniziazione”

“Per iniziazione cristiana si può intendere il processo globale attraverso il quale si diventa cristiani. Si tratta di un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della Parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna a una scelta di fede e a vivere come figlio di Dio, ed è assimilato, con il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia, al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa”.

Ufficio catechistico nazionale, “Catechismo per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi.
Nota per l’accoglienza e l’utilizzazione del catechismo della CEI”, 15 giugno 1991.

Iniziare alla vita cristiana vuol dire:

  • far maturare una scelta libera e consapevole, nei ragazzi e nei genitori;
  • comprendere che non si inizia un cammino solo per ricevere i sacramenti ma per diventare cristiani;
  • far vivere più che una scuola, un apprendistato, un’esperienza di vita cristiana che attiva un processo globale;
  • impostare un cammino leggero, bello, gustoso, sorprendente, graduale, fatto di momenti di catechesi, di celebrazioni, e di testimonianze della carità;
  • coinvolgere gli adulti, che accompagnano i ragazzi nel cammino facendo vivere loro delle esperienze di vita cristiana: genitori, nonni, catechisti, capi scout, educatori e altri operatori pastorali;
  • è tutta la comunità cristiana che fa diventare cristiani.

Da tutto questo è nato il ripensamento e il successivo rinnovamento del cammino di iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi nella Chiesa di Padova, ispirato all’antico modello di iniziazione cristiana chiamato “catecumenato”.
Tutte le volte che la Chiesa ha guardato alla sua origine si è ritrovata ad essere più giovane.

Ci hanno confortato i vescovi italiani: “Un ripensamento della pratica dell’iniziazione cristiana si impone, se si vuole che le nostre parrocchie mantengano la capacità di offrire a tutti la possibilità di accedere alla fede, di crescere in essa e di testimoniarla nelle normali condizioni di vita”.

“Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, n° 7

Ha dato il via al progetto il vescovo Antonio: “È questa una scelta, un progetto che riveste un’importanza fondamentale, ed ha un carattere di urgenza. È un progetto che richiede di essere accolto, compreso, condiviso e fatto proprio da tutti e da tutte le parrocchie. Per questo vi invito a interiorizzare le ragioni, le motivazioni di fondo che giustificano questa impresa pastorale a cui si accinge a metter mano la nostra diocesi. L’esigenza di rifondare l’impianto dell’iniziazione cristiana di fanciulli e adulti si è fatta sempre più viva e impellente a partire dal Concilio Vaticano II. Le trasformazioni avvenute in questi decenni sul piano culturale, sociale, della mentalità e dei costumi, lo rendono necessario e urgente”.

Si tratta di una “impresa” che non va appaltata o “scaricata” sui catechisti: la “titolare” dell’iniziazione cristiana è tutta la comunità.
“La globalità dell’annuncio pone nuovamente al centro i processi iniziatici della fede e la comunità cristiana, nel suo insieme, come grembo iniziatore. Finisce così la delega della catechesi a un addetto ai lavori (il catechista o la catechista baby-sitter della fede) ed essa ritorna ad essere l’azione principale di una comunità credente, la quale, mentre genera i suoi figli, viene essa stessa rigenerata alla fede”.

“Prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità”.

CEI, “Documento Base sul rinnovamento della catechesi”, n.° 200, 2 febbraio 1970

Il cammino della vita cristiana

 

“I primi passi” di Vincent Van Gogh

Van Gogh i primi passi

Un contadino sta rincasando, dopo il lavoro giornaliero nei campi. La moglie lo attende appena fuori di casa, oltre il cancelletto dell’orto, per mostrare la grande novità: la loro bambina inizia a camminare. La sorpresa del marito è resa magistralmente: abbandona la carriola, va poco oltre, getta disordinatamente il badile sulla verdura germogliata, si accuccia cercando il contatto visivo con la figlia e spalanca le braccia. La sua intenzione è chiara: mostrare alla bimba tutto il suo affetto e incitarla a lasciarsi andare per muovere i primi passi. I colori chiari scelti dal pittore sottolineano la serenità che pervade il momento decisivo di crescita e di autonomia della bambina, la grande confidenza della piccola che sta per lasciare la presa sicura della mamma, ma anche la felicità dei genitori.
Primi passi” (1890) è una scena semplice e familiare, piena di gioia e di vita, descritta con grande perizia da Vincent Van Gogh. La scena ci fa tornare alla mente esperienze analoghe, alle quali abbiamo assistito da bambini a casa nostra, o da adulti a casa di amici.
Ad ispirare l’artista probabilmente non è stata solo la sua esperienza o il suo desiderio di paternità. Non sembra fuori luogo ipotizzare pure un’ispirazione biblica. Van Gogh nella sua giovinezza desiderava diventare un pastore, un predicatore della Parola di Dio. La Bibbia è un libro che lo ha sempre affascinato e che lui ha molto studiato. La stessa Bibbia ha ispirato alcune sue bellissime opere come “Seminatore al tramonto” (1888); e “Il buon samaritano” (1890).
Nel libro di Osea, Dio afferma: “Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano” (Os 11, 1.3). L’espressione suggerisce l’attenzione particolare che Dio ha avuto accompagnando i primi passi del suo popolo. Questa attenzione di Dio trova un’eco pittorica nella tela di Van Gogh: la madre sostiene la bambina incitandola a camminare e il papà è pronto ad abbracciarla. Si viene così a creare uno spazio affettivo ideale dentro il quale la piccola decide di lasciarsi andare.
Nello stesso testo profetico si legge poco più avanti: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11, 4). Il profeta descrive due atteggiamenti di Dio che corrispondono ad altrettante immagini familiari, semplici e, al contempo, cariche di significato: “sollevare un bambino verso la guancia”, quindi verso il viso del papà e della mamma; e “chinarsi per dare da mangiare”.
Nella tela possiamo riscontare (e immaginare) nella figura del padre questi due movimenti del chinarsi e del sollevare. Egli è già chinato, per incrociare meglio lo sguardo della figlia e per accoglierla. Successivamente – lo possiamo prevedere – la solleverà in alto, come per mostrare il trofeo più bello della sua vita.
Credo si possa sostenere che questi atteggiamenti esprimono pure dei movimenti fondamentali dell’azione educativa: “piegarsi” a livello dei bambini e dei ragazzi, per incrociare i loro sguardi e per sostenerli, creando degli spazi educativi che favoriscano la loro crescita; “sollevare” quanti stanno muovendo i primi passi nel cammino della vita e i passi successivi, offrendo per loro e con loro percorsi seri e qualificati, senza far mancare “legami di bontà”, indispensabili per crescere e per camminare poi autonomamente con le proprie gambe.
Non sono soltanto i genitori ad essere chiamati a creare uno spazio affettivo attorno ai figli. Anche gli educatori hanno un compito analogo, quello di offrire a quanti stanno crescendo le migliori condizioni perché possano camminare serenamente, con un serio e affascinante progetto di vita. Genitori ed educatori non sono chiamati a far nascere attorno ai più piccoli un mondo finto, artificiale, senza fatiche o senza ostacoli (si noti nel quadro il terreno non certo piano sul quale la bambina muove i suoi primi incerti passi), ma devono “esserci”, stare accanto a loro, per aiutarli ad interpretare i fatti della vita, a comprendere quello che accade, a muoversi fiduciosi nel mondo e nella cultura di oggi.

don Maurizio Viviani, diocesi di Verona